LA CITTA’ CHE EDUCAVA SE STESSA.
Un bel pò di anni fa, lo ricordo ancora con gioia, Pierangelo Marchi, Giorgio Ghezzi e Adriano Bustreo mettevano su, in tre parrocchie casertane, per la prima volta dei centri per la raccolta differenziata dei rifiuti, in un momento in cui nessuno credeva fosse possibile farlo ne che la cittadinanza ne fosse capace. Il fatto che fossero Padri Sacramentini venuti dal nord Italia in prestito alla nostra diocesi non ha nessuna importanza. Il loro fu un atto educativo che conteneva un insegnamento ancora più importante che il solo agire civile: educare a lasciarsi educare è un atto d’amore verso il prossimo
Durante le afose giornate di agosto potevi vederli turnare in cima ad enormi containers per ricevere la plastica e le lattine dai cittadini che le consegnavano con curiosità e gioia insieme.
La domenica c’erano pullman organizzati per condurre, chi lo voleva, a visitare le fabbriche dell’interland che si occupavano di riciclare il materiale raccolto e non mancavano dolcetti offerti sul posto.
Poi per ragioni che non conosco del tutto quell’esperienza terminò, anzi si ritenne che dovesse terminare perché la chiesa locale non poteva farsi carico di compiti che erano propri di altre istituzioni.
Questo mi ha fatto riflettere sulla necessità di diversificare le competenze, alle agenzie educative, ai ruoli, ai limiti; concetti molto belli ma che ritengo abbiano fatto la loro epoca e debbano essere superati.
Ragionare in termini di separatività, stabilendo confini fissi ed indelebili, tra ciò che tocca all’uno o all’altro, non serve più.
Sono fermamente convinta che siano segni di una civiltà egoica i cui frutti abbiamo tutti dinanzi agli occhi e che la storia passata ci mostra bene nel dettaglio, essere inutile, anzi di ostacolo al progresso.
Il mio pensiero è che una comunità, una città, una società per potere avere un futuro deve comportarsi come un organismo in cui ognuno è collegato ad un altro. Basta pensare al corpo umano per capire le conseguenze che può avere una cellula che decide di agire solo per il proprio interesse e non più per la collettività: il corpo muore.
Allora, ritornando ai termini di cui sopra, le diverse agenzie educative, scuola, famiglia, associazioni, chiesa, istituzioni non possono più agire ognuna per proprio conto ma devono imparare ad inter-agire, senza limiti e confini e senza accaparramento di competenze, che altro non sono se non strumentalizzazioni di potere (se solo io posso fare tale cosa questo mi distingue da altri che non possono farlo, mi identifico con ciò che faccio e ciò che faccio mi rappresenta)
I ruoli dovrebbero essere interscambiabili e le competenze allargate riducendo le specializzazioni in modo che la visuale di ognuno sia la più ampia possibile.
Ma accade esattamente il contrario e i cittadini non possono comportarsi in maniera non conforme a questa regola se l’esempio che ricevono dai piani alti riguarda soltanto gli aggettivi possessivi della grammatica di base (mio, tuo, nostro, vostro).
La sensazione che avverto dando uno sguardo panoramico alla città è che esistono sottocomunità in una comunità che risulta così frammentata.
Se un tempo ciò che divideva la popolazione era il ceto sociale, oggi si sente molto che a separare è la paura di perdere ruolo, territorio, fama, lustro, soldi, onorificenze e via dicendo.
La chiusura in cui vivono i gruppi variamente associati e costituiti in questa città è terribile!
Probabilmente si difendono da predatori senza ritegno, che rubano loro, contatti, possibilità, orizzonti.
Avrebbero anche ragione se non fosse che in quest’ottica non si vincono battaglie, anzi, se non fosse per il fatto che non c’è proprio nessuna guerra ne da combattere ne da vincere.
La comunità non è una comunità che interagisce al suo interno e lo si vede dalla politica, all’economia, al campo artistico e culturale.
E’ un peccato perché credo fortemente che oggi più che mai che le diverse realtà casertane debbano agire in rete e sostenersi a vicenda.
L’esempio che ci hanno dato i padri Sacramentini a suo tempo intendeva proprio questo, che insieme si fanno grandi cose e che due più due non fa quattro ma molto di più, come conferma la massima della Gestalt quando dice che “l’insieme è più della somma delle sue parti”.
L’indentità di un popolo nasce da questi intrecci di trama e ordito, non può mantenersi nel tempo su ciò che l’ha fondata storicamente, altrimenti finisce per tradire gli stessi valori, principi e persone che l’hanno determinata.
La responsabilità storica è caricata completamente sulle spalle di noi contemporanei, ma è un peso che si fa leggero solo se assunto da tutti e con consapevolezza
C’è una città in Umbria, Civita di Bagnoreggio che fu fondata dagli etruschi su terreno fortemente soggetto ad erosione. La città sopravvisse fino ad epoca romana perchè tutti si fecero sempre carico di mettere in atto opere che ne prevenissero la distruzione, poi nessuno lo fece più: oggi la chiamano la città che muore.
Dove però muore qualcosa, si crea lo spazio per una nuova primavera, per qualcos’altro che tenta di nascere se pur tra le doglie del parto: si tratta di riconoscerlo come parte di una ciclicità naturale insita nella storia dell’umanità intera e di non rifiutarlo poiché, al di là delle opinioni personali, un cambiamento è in atto e in qualche modo dobbiamo cambiare anche noi. IOLE VACCARO